…E suffragio universale fu…

In Toscana, grande e luminoso Granducato, il diritto di voto femminile fu concesso nel 1849, grazie ad uno spirito dei tempi giunto decisamente in anticipo rispetto al resto delle realtà frammentarie di quell’Italia ancora da divenire.
Ma, da quando i Savoia, per mezzo di Garibaldi e delle sue camicie rosse, unirono tutto lo Stivale sotto l’egida del Tricolore (una soluzione controversa, direbbe non a torto qualche abitante del Mezzogiorno) fu necessario attendere il 1945 e il tramonto della suddetta Monarchia per vedere volti femminili alle urne.
Il Primo Febbraio 1945 il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi, con il Decreto Legislativo Luogotenenziale n°23 “estensione alle donne del diritto di voto”, riconobbe il Suffragio Universale.
Una legge che porta la firma di Re Umberto II di Savoia, canto del cigno del Regno d’Italia, all’indomani della disfatta bellica. Un modo per accomiatarsi con una scelta saggia e dignitosa, dopo la figura vergognosa rimediata con il Fascismo e altri disastri su cui al momento è meglio stendere un velo pietoso.
L’estensione alle donne del diritto di voto fu proposta da Togliatti e da De Gasperi, due dei più illustri sostenitori della Repubblica, mai così diversi sotto molti aspetti ma vicinissimi quando si tratta di senso civico: due maestri della Democrazia.
Il loro progetto fu ben ricompensato da questo Decreto, ai fini della nascita di nuova Italia.
Difatti, la prima occasione in cui il suffragio universale venne adottato, fu proprio per il referendum nel quale si poneva agli italiani il sommo interrogativo: Repubblica o Monarchia?
Ciò avvenne il 2 Giugno del 1946 e il risultato è (dietrologie a parte) Storia.
Proprio come nel caso del voto femminile, il grandi momenti storici non avvengono mai da soli e non sono mai un evento sporadico, senza un pregresso importante e critico perlomeno quanto l’avvenimento stesso.
E il Suffragio Universale ha rappresentato l’apice di un’epoca drammatica, dove non solo la pace e la concordia ma anche il senso democratico di libertà, il concetto stesso di diritto, hanno rischiato l’estinzione, dimostrando la fragilità dell’etica e della morale, la sfumatura sottilissima tra bene e male, proprio come la vita umana: l’equilibrio è quanto di più difficile possa palesarsi dinnanzi alle nostre coscienze.

Vuemme desidera ricordare questo grande avvenimento storico per sottolineare quanto ancor’oggi l’obiettivo finale – le pari opportunità – sia lontano, non solo in alcune parti, le più retrograde culturalmente, del mondo, ma anche (e soprattutto) in casa nostra; sì, nel nostro avanzatissimo, emancipatissimo, civilissimo Occidente. Quell’Occidente dove la società impone un modello sessista e relega la figura femminile nei ranghi di una gerarchia patriarcale.
Tutto è immagine, apparenza e classificazione; ciò ricade gravosamente sulle spalle del soggetto-donna, che viene costantemente svilito da un oscurantismo culturale (la paura del diverso, la necessità di mantenersi aggrappati alle “tradizioni”) ben lontano dai risultati ottenuti con così strenua forza nel Novecento, il Secolo della – presunta – emancipazione: quello del voto e dei successivi traguardi come il divorzio o l’aborto.

Ma cosa c’è di anormale? Che sia necessario un tale sforzo per ottenere quello che dovrebbe essere ovvio.


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