La perpetua ricerca della bellezza

“Deus Sive Natura.”
Spinoza

A pensarci bene, sono in viaggio da molto tempo; un viaggio alla ricerca della bellezza.
Ho sempre cercato di inseguire il senso estetico, di trovare il bello in tutto ciò che mi circonda, di farmi avvolgere dalla sinuosità e dalla positività, talvolta in modo eccessivo, quasi pretendendo che regnasse l’armonia intorno alla mia persona.
Non si può chiedere questo, specialmente ai propri simili. Un amico non può sempre essere in gran forma, un parente non può sempre essere d’accordo con te su tutto, un collega non può creare sempre la stessa esplosiva sinergia; è normale.
E’ fisiologico. E ho capito, col tempo – in parte e non del tutto – che la bellezza risiede proprio nell’imperfezione, nel caso, nel fatto stesso che non siamo – e non dobbiamo nemmeno volerlo – al centro dell’universo, ma che l’universo è nel centro esatto di noi.
La fisiologia, l’anatomia umana e animale, la geologia, la forma delle cose, la consistenza degli elementi, la loro essenza, custodiscono la bellezza.
La natura, il nostro vero e unico Dio, è la summa di ciò che il nostro cuore, la nostra anima, vaga cercando. Se non guardiamo alla natura, non troveremo mai niente.
Se consideriamo bello solo ciò che la società ci detta come bello, allora vivremo nella lordura e nel disprezzo di noi stessi. La miseria non è la povertà: la miseria è l’aridità spirituale. La religione? non c’entra niente. Spirituale non è religioso, o meglio, non per forza, non del tutto; sarebbe un concetto estremamente riduttivo.
Noi tutti siamo alla ricerca del metafisico, nella stessa misura in cui cerchiamo la bellezza.
Chi non lo fa, è arido, e talvolta è religioso. Perché la fede, specie quella cieca, è un’arma a doppio taglio pericolosissima. Se finisce nelle mani dell’ignoranza – il nostro nemico più grande – si generano mostri (avete presente il quadro di Guttuso?).
Non è il caso di San Tommaso d’Aquino o di Cartesio, passando per il pensiero di Spinoza. Perché nominare, smuovere, scomodare tali fondamenta del pensiero umano? Semplice: perché è loro, propria del loro essere e pensare, l’assioma fondamentale della logica moderna: dubitare.
Quasi un sinonimo di esistere, non è vero?
Porsi domande è alla base dell’uomo, è la prova tangibile che abbiamo un’anima. Perché avere un’anima, se non pensiamo?
Dunque, è pur vero che gli elleni ci precedono in tutto questo, dalla ricerca della bellezza al pensiero logico, ma è altresì realtà (storia e cronaca certa) che come ci siamo ritrovati, ed è stata l’epoca più luminosa del genere umano, in un attimo ci siamo persi.
Dalla caduta dell’Impero Romano, c’è voluto ben poco per gettare nuovamente il nostro cogito nel buio abisso dell’ignoranza, oscura e fangosa. E’ il medioevo dell’uomo, dell’intelletto, del progresso, dell’umanità. Sono i secoli tetri in cui tutto pareva andato perduto. Dove ciò che era scritto veniva bruciato e ciò che era pensato veniva abolito da dogmi ed editti anch’essi forieri di fiamme.
Dove sotto il giogo di una fede cieca e ottusa si nascondeva il sapere e si celava per sempre la verità: fu il tempo dei segreti.
Niente di più vile e selvaggio esiste al mondo, che serbare un segreto.
Il segreto è come il rancore: ti consuma; ti finisce; ti distrugge.
Un uomo cambia, non è più lo stesso, perde, infine, la sua bellezza.
Il senso estetico scomparve, le sinuose profondità si persero così come si perse la matematica atta a rappresentarle. La lingua greca dimenticata, i geroglifici sepolti sotto tonnellate di sabbia e i prodigi dell’architettura (quando filosofia e divinità si incontrano) saccheggiati e distrutti per iconoclastia selvaggia e bieca o nel migliore dei casi per costruire edifici enormi e freddi, laddove far giacere la verità e la storia dell’uomo.
Nelle chiese e nei monasteri si conserva il latino, la prima lingua che univa il mondo intero, e si copiano i grandi scritti classici. Già: non solo la Bibbia.
A rischio della propria stessa vita, amanuensi delle abbazie cistercensi, benedettine e gesuite, trascrivevano e tramandavano il sapere dell’umanità parola per parola, dai testi più tollerati fino a quelli all’indice.
L’audacia dell’uomo covava come brace sotto la coltre di cenere nera che gli spadoni e le armature, la peste e i porporati, le superstizioni e la fame, avevano fatto calare sul mondo.
La barbarie. Questo sentore così attuale, così vicino, proprio oggi.
Sembra di parlare del ventunesimo secolo, quando affrontiamo il medioevo con un minimo di discernimento. Siamo in mezzo ad una pandemia, il pontefice parla da solo in una reggia dorata, mentre i senzatetto si ammassano sotto i portici morendo ad uno ad uno, nella prigione della miseria dell’essenza umana.
E’ il lascito del progresso scellerato, non del progresso geniale, illuminato, celeste.
Chi possedeva la luce era un uomo, giovane e bello, solitario e silenzioso, magnifico e irreale, etereo e malinconico: Raffaello Sanzio.
Egli simboleggia il ritorno dello splendore dopo la notte buia.
L’arte che raggiunge il sole allo Zenit e si eleva nel corpo, nella tecnica e nello spirito.
Raffaello, che ha brillato per un attimo e la sua luminescenza perdura oggi e sussisterà nei secoli, millenni, avvenire.
Perché la sezione aurea si compie a distanze che l’uomo non può comprendere, ma che, se possiede quel genio assoluto di cui Raffaello era interamente permeato, può cogliere.
E cogliere è rinascere.
Il Rinascimento nell’arte è la testimonianza dell’esistenza di un tutto cosmico che lega l’anima alla terra e testimonia se stessa nella realizzazione della ricerca.
La ricerca della bellezza è dunque il cammino dell’uomo alla volta della perfezione.
Impossibile, come il volo di Icaro, ma fondamentale per farci fare ogni giorno un passo avanti denso di coraggio e speranza.
E oggi, abbiamo bisogno di Raffaello Sanzio come non mai.
La delicatezza è la chiave, e Raffaello può donarcela.

PS: nel dipinto raffigurato in copertina, “Lo sposalizio della Vergine”, si nota sullo sfondo il più classico degli elementi architettonici tipici dell’umanesimo. Si tratta di un simbolo, che per la prima volta pone l’uomo al centro dell’universo e non più Dio, equiparandolo a esso.



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