I’m a SOUL MAN

Ci fu un giorno, freddo e umido proprio come oggi, in cui secoli di dolore furono arginati da una frase scritta su un foglio.
Quel giorno, il 31 Gennaio 1865, venne ratificato il Tredicesimo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America, che aboliva formalmente ed ufficialmente la schiavitù.

1.La schiavitù o altra forma di costrizione personale non potranno essere ammesse negli Stati Uniti, o in alcun luogo soggetto alla loro giurisdizione, se non come punizione di un reato per il quale l’imputato sia stato dichiarato colpevole con la dovuta procedura. 
2.Il Congresso ha facoltà di porre in essere la legislazione opportuna per dare esecuzione a questo articolo. 

Niente male per un Paese che aveva fatto della schiavitù una norma comune per sostenere l’economia nazionale e dei propri imprenditori, fin dal tempo delle colonie.
Niente male parlarne oggi, nel 2020, in pieno futuro più che orwelliano, più che kubrickiano, eppure ancora così retrogrado da far impallidire chi, poco più di centocinquant’anni fa, risultava invece così lungimirante e illuminato da porsi i grandi interrogativi del diritto, validi a raggiungere la felicità e l’emancipazione, criteri alla base di ogni civiltà evoluta e soprattutto libera.
Ne parliamo oggi non solo per celebrare una data che ha un rilievo fondamentale per il mondo e la dignità umana, ma perché la schiavitù, nella contemporaneità, non è ancora finita. Si è infidamente evoluta mediante l’uso di alias, maschere e sotterfugi.
Si è palesata in quelle cosiddette nuove economie, cioè quello che ci piace far finta di considerare l’ex terzo mondo, è stata confermata senza mai troppo sdegno nelle case, tra le mura domestiche, mediante la scusa di una cultura , di una tradizione , perfino di una religione.
Sembra impossibile eppure eccola lì, sotto al nostro naso. Nel computer e nello smartphone che sto usando per scrivere e condividere con voi questo articolo così libertario, nella frutta e verdura che mangeremo a pranzo, nella macchina che ci porterà a fare il nostro lavoro creativo ed etico, e così via, senza possibilità di fuga, senza alcun modo di poter vivere senza una forma di schiavitù, di costrizione, di sfruttamento.
Ma la nostra missione non è quella di fare dialettica e speculare sull’ovvio, per cui torniamo indietro nel tempo, per capire un po’ meglio questo fenomeno che risponde al nome di schiavitù e cosa accadde in quel momento, in quella “sezione aurea” (per dirla come Jaspers), in cui la storia cambiò perché grandi uomini dalla mente lucente videro il futuro della civiltà attraverso gli occhi della filosofia, della giurisprudenza e della virtù.
Per quanto concerne le Americhe non ispaniche, vale a dire le colonie inglesi, tutto ebbe inizio nel 1619, quando per la prima volta, al porto di Jamestown, in Virginia, attraccò una nave con a bordo la prima ondata di schiavi provenienti dall’Africa, precisamente dal porto di Luanda, nell’attuale Angola, all’epoca territorio portoghese, dove gli arabi al mercato trattavano in pietre preziose, tessuti pregiati e uomini .
Ciò non scandalizzò di certo portoghesi ed ispanici, che erano soliti trafficare schiavi per il centro ed il sud America, e destò l’interesse britannico, che ben presto comprese la cruciale importanza di questo mercato ai fini di una chiaramente vantaggiosa resa economica, poco importa se veniva raggiunta in modo disumano.
Da lì a breve, il traffico di schiavi dall’Africa divenne un fenomeno di proporzioni immani, tanto da imporsi come una delle prime risorse che venivano trasportate giorno e notte, continuamente, via mare.
Vennero impiegati dapprima nella coltivazione del tabacco, primo grande prodotto di consumo americano, successivamente per l’oro nelle miniere a Ovest, per il cotone al sud, per il mais e i pomodori al centro. Dovunque la schiavitù si diffuse, destinata alla terrificante prospettiva di durare per i successivi duecentocinquant’anni.
Prima dell’arrivo degli deportati africani, cui sarebbe stato riservato il mero destino della cosiddetta schiavitù “ereditaria” – o “proprietaria” – vale a dire la totale mercificazione dell’uomo con la condanna perpetua per la sua progenie avvenire, era diffusa in Virginia la schiavitù “debitoria” verso altri inglesi – di solito disagiati, poveri, reietti o criminali – i quali al loro arrivo in America avrebbero lavorato gratis per sette anni, vuoi per pagarsi appunto un debito (il viaggio o altri conti in sospeso) oppure per scontare una pena in alternativa alla forca che gli sarebbe invece toccata in Gran Bretagna, così che allo scadere del tempo dedicato al lavoro forzato sarebbero tornati uomini liberi, con tutto il diritto di costruirsi la propria fattoria o piantagione sul posto; il più delle volte essi tornavano a delinquere anche in Virginia e assaggiavano la forca di Jamestown , finendo impiccati, perché è molto difficile fuggire dal proprio destino.
Per meglio comprendere quanto fosse una norma comune la schiavitù (vi ricordate la banalità del male di cui abbiamo parlato nell’articolo sul Giorno della Memoria?), dobbiamo andare nell’anno del Signore 1705, quando la Colonia della Virginia, ora retta addirittura da un civilissimo parlamento – la House of Burgesses – legiferò in merito alla schiavitù con una serie di atti e norme per regolamentarne le compravendite, gestire le fughe, derimere le questioni, e nel suo capitolato principale si evidenziò per la prima volta la “Superiorità della razza bianca sulla razza nera” per ragioni sia frenologiche (una truffaldina disciplina paramedica assolutamente non attendibile) e naturalmente religiose.
Questa prima normativa di tipo razziale non solo asseriva questa terrificante ed ottusa convinzione ma delineava definitivamente il punto di non ritorno tale per cui l’uomo bianco sarebbe stato libero e gli uomini neri, provenienti dall’Africa, avrebbero avuto per sempre, nelle generazioni avvenire, il destino segnato delle catene.
Un po’ di numeri: nel 1860, allo scoppio della Guerra Civile Americana, è stato stimato che il totale di africani deportati nelle Americhe da spagnoli, portoghesi, francesi e inglesi dal 1492, fu di 12 milioni; di questi, 650.000 deportati nelle colonie inglesi, che sul posto sono diventati, nell’anno della Guerra di Secessione, quasi 4 milioni.
Quattro milioni di uomini con un’anima considerati: oggetti , strumenti , cose .
Nella terra della libertà; nel Nuovo Mondo, laddove presto si sarebbe scritta la storia della democrazia e dell’emancipazione umana.
Ricordiamo ancora una volta, perché non basta mai, che in quel preciso periodo storico i discendenti di tutti gli africani giunti in America sarebbero stati schiavi per sempre questo per decisione dell’uomo bianco .

Dal 1776, anno della nascita degli Stati Uniti d’America, fino alla Guerra Civile, lo schiavismo fu considerato un fondamentale tema di dibattito filosofico e politico.
Se allargato ai diritti civili, al voto, alla democrazia, questo concetto è stato oggetto di molte discussioni fino ai nostri giorni, e ancora non può considerarsi terminato.
La disputa morale sullo schiavismo fu una delle questioni principali che portarono allo scoppio della Guerra Civile, nonostante che, fra leggi e norme, col tempo molte corti locali agivano progressivamente in favore dei diritti e della liberazione degli schiavi.
Dopo l’Indipendenza ciascuno Stato, dai più selvaggi a ovest dove non erano ancora state delineate delle regole ben precise, fino ai più evoluti e riformisti, già ampiamente abolizionisti, come quelli del New England e della Regione dei Grandi Laghi, iniziarono una graduale abrogazione della schiavitù, grazie ai propri reggenti illuministi e ad una cultura liberale sempre più aperta e democratica, portando alla nascita dei primi uomini liberi di discendenza africana, in un momento di grande caratura civica e storica, segnale di profondo cambiamento.
Contrariamente agli emancipati ed industrializzati Stati del nord, si contrapponeva la realtà del Sud del Paese, a trazione agricola, dove il latifondo imperante manteneva diffusa la schiavitù in modo molto radicato. Gli schiavi africani fuggivano verso l’Unione o il Canada tramite la cosiddetta “Ferrovia Sotterranea”, un’espressione usata per indicare la serie di metodi ottenuti tramite mutui aiuti e soccorsi con cui si tentava la disperata corsa verso la libertà.
Frattanto a Philadelphia e a Washington, avvocati, giuristi, politici e filosofi incoraggiavano il dibattito e promuovevano l’abolizionismo e così, dopo la fine della Guerra di Secessione, a seguito della vittoria dell’Unione, lo schiavismo divenne progressivamente illegale in tutti gli Stati, anche nello sconfitto sud, fino alla promulgazione della legge definitiva, lo storico XIII Emendamento della Costituzione, discusso al Congresso fin dal 1864 e ratificato il 31 Gennaio 1865, giorno che celebriamo oggi con questo articolo.
Operativa dall’Agosto di quell’anno, tale legge non fu sottoscritta solo dal Mississippi, anche se da esso formalmente adottata, fino al 1995, centodieci anni dopo, e questo la dice lunga sulla mentalità degli stati del Sud e la radicata conformità retrograda al pensiero razzista che caratterizza ancora oggi, tristemente, molti di quei luoghi.
Sebbene la schiavitù fu ufficialmente abolita dal Tredicesimo Emendamento, solo in Delaware, Kentucky, Missouri, Maryland e New Jersey era ancora in atto, ciò grazie all’enorme peso, come detto, delle singole azioni dei governi e dei cittadini locali, che negli altri territori avevano già reso uomini liberi gli schiavi di discendenza africana, e di certo grazie a colui che più di ogni altro fece dell’abolizionismo la sua battaglia più grande: il Presidente Abrahm Lincoln. Egli, con il “Proclama di emancipazione” del 1863, sul finire della Guerra di Secessione, mise in atto tramite questa particolare forma di decreto operativo, una misura temporanea ma molto rigida verso quegli Stati del Sud dove lo schiavismo era ancora largamente diffuso, liberando migliaia di afroamericani.
Lincoln, prima del suo assassinio (il tragico epilogo della sua vita ad opera di un pazzo mitomane alla Petersen House a Washington), fu un grande sostenitore della proposta di emendamento e della successiva ratifica, un atto fortemente voluto dai tre firmatari: i deputati del Congresso James Mitchell Ashley, repubblicano dell’Ohio e James Falconer Wilson, anch’egli repubblicano ma dell’Iowa, e il Senatore John B. Henderson, democratico del Missouri. Un vero e proprio atto bipartisan ante litteram.
Dopo l’approvazione dell’abolizione della schiavitù, vennero proposti e ratificati due ulteriori emendamenti, il XIV e il XV, che rendevano free men  a tutti gli effetti gli ex schiavi riconoscendogli diritti civili e diritto di voto, in quella che sarà ricordata come la Ricorstruzione post Guerra Civile Americana.
Grandi problemi e gravi tragedie, specialmente nel Sud, si abbatterono sugli afroamericani e la questione dell’emancipazione a seguito di questo storico traguardo. Ne derivò un dilagante razzismo e il terribile fenomeno della segregazione razziale , che perdurò per più di un secolo, fino a Martin Luther King Jr. e la battaglia per i diritti civili, mai davvero concessi in tanti Stati degli USA, e ancor’oggi deboli e fragili come non mai.
E’ tempo di ricordare ciò che l’Illumismo ci ha insegnato, ciò che il nostro conterraneo toscano Filippo Buonarroti ha teorizzato e messo in pratica proprio in America, contribuendo alla stesura di una delle più grandi Costituzioni del Pianeta, dove la libertà e i diritti di ciascun individuo sono e saranno sempre il centro della democrazia e il fulcro del nostro futuro…alla ricerca della felicità.

I’M A SOUL MAN



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