Pokoli Fojbe / Masakri Fojbe / Massacri delle Foibe

Tre lingue: sloveno, croato e italiano. Una sola e unica strage.
Prma dell’esodo giuliano-dalmata, nella Venezia-Giulia, Quarnaro, Istria e Dalmazia si è consumato un massacro che ha coinvolto non solo gli italiani, ma anche sloveni, croati e serbi. Le vittime delle foibe non hanno bandiera, identità culturale o etnica ma sono stati tutti immolati sull’altare dell’odio; il sacrificio più osceno.
L’odio del fascismo italiano e l’odio del comunismo jugoslavo di Tito.
La maggioranza delle vittime, è bene ricordarlo, è effettivamente morta nei campi di prigionia, non nelle profonde buche carsiche da cui prende il nome di questo eccidio.
Tutto ebbe inizio con una rivolta spontanea delle popolazioni rurali slave come vendetta contro gli efferati crimini di guerra (egualmente schifosi) perpetrati dai fascisti durante l’invasione della Jugoslavia, un inenarrabile atto della Seconda Guerra Mondiale in cui l’Italia si macchiò in maniera indelebile di misfatti violenti e gravissimi.
Tale situazione maturò con la fine della Guerra e venne ufficialmente resa sistematica da Tito e dal suo esercito di liberazione comunista con il quale prese piede una vera e propria epurazione politica ai danni di tutti coloro che vennero considerati dissidenti in opposizione al nuovo regime.
Facciamo un passo indietro per inquadrare storicamente un fatto che necessita, nel nostro Paese, della massima chiarezza probatoria, in quanto fin troppo spesso l’opinione pubblica (nonostante le evidenze scientifiche oramai confermate) ingigantisce o sminuisce gli avvenimenti a seconda della convenienza ideologica o politica.

Fin dal tempo dell’Impero Austroungarico, sulla linea di confine tra Italia e Jugoslavia si verificarono violenti episodi di razzismo e coercizione da parte sia dell’invasore di turno, sia naturalmente delle oppresse popolazioni locali. E’ comunque bene precisare che la zona dell’Istria conta molte etnie differenti ma mai radicalmente autoctone, in un luogo che è stato abitato dai tedeschi, dagli slavi, dai croati, dagli italiani e dagli ungheresi in maniera di volta in volta altalenante. Storicamente dunque la zona risulta contesa ed è stato variabile il concetto di chi nell’effettivo esercitava il potere e chi risultava momentaneamente in minoranza.
Dall’Unità d’Italia fino alla fine della Prima Guerra Mondiale sorse, sviluppandosi progressivamente, il cosiddetto irredentismo, movimento diffuso tra gli istriani di origine italiana che promuoveva l’annessione dell’Istria al Regno d’Italia.
D’Annunzio, al culmine di questo sentimento nazionalista, sostenne l’irredentismo e gli “Arditi”, raggiungendo perfino il folle obiettivo (dimostrativo e melodrammatico) di sorvolare Fiume e condurre una spedizione alla conquista delle terre irredente.
Dopo la Prima Guerra Mondiale l’Istria fu davvero annessa all’Italia. Ne derivò un forte sentimento di frattura tra le popolazioni abitanti la zona, in cui si fronteggiavano prevalentemente le classi dominanti, borghesi ed agiate dei notabili e proprietari italiani e la rurale, contadina e operaia manovalanza di origine slava.
Facendo leva sui sommovimenti socialisti sorti in tutta Europa dopo la Rivoluzione Russa dell’Ottobre 1917 – il Biennio Rosso – intorno agli anni Venti del Novecento, anche in questo territorio dai delicatissimi equilibri si verificarono numerosi scontri, violenti e spesso mortali, durante gli scioperi e le agitazioni operaie che, a ragione, rivendicavano migliori condizioni umane e di lavoro.
Anziché andare a parare verso un socialismo di stampo comunista e sovietico, in Istria si ottenne il risultato opposto e il sentimento italico irredentista, sull’onda emotiva della “Vittoria Mutilata” alla fine del primo conflitto mondiale, risultò terreno fertile per il Fascismo.
Scoppia la Seconda Guerra Mondiale e dopo la tanto ridicola quanto cruenta colonizzazione africana e albanese, l’Italia avviò una vera e propria campagna militare di invasione della Jugoslavia, sostenuta dall’Asse. In questo teatro bellico il fascismo commise atroci crimini di guerra contro le etnie locali, una popolazione contadina inerme che lottò con tutte le proprie forze, con una strenua Resistenza, dinnanzi a questo orrore. Stragi, violenze, pulizia etnica, campi di concentramento destinati a slavi ed ebrei come l’incubo tutt’oggi visibile a Trieste della Risiera di San Sabba, in una putrescente situazione di stallo, culminata con l’armistizio dell’Italia verso gli Alleati; la sconfitta del fascismo e la fine ingloriosa di un Regno.
Da quel momento – il momento della sconfitta – gli abitanti del luogo, dapprima i partigiani e successivamente (alla nascita dell Jugoslavia comunista di Tito) l’esercito di Liberazione, iniziò una brutale vendetta contro i fascisti rimasti in Istria che coinvolse inevitabilmente un gran numero di italiani e slavi estranei alle violenze degli anni precedenti.
Si contano eccidi a Trieste, in Istria, a Gorizia, a Fiume, praticamente ovunque in quelle terre. Con la fine della Guerra e l’avvento di Tito principiano le deportazioni nei campi di concentramento e di lavoro forzato, le esecuzioni sommarie; una situazione che sfociò con un gravoso esodo di italiani verso la neonata repubblica italiana (più di 300.000) laddove non furono certo ben accolti. Ma questa è un’altra storia di cui certamente torneremo a parlare. Integrarsi è dura, e talvolta la lingua, l’etnia, la religione, non sono i soli ostacoli, perché è l’empatia che manca.

Con questa brevissima e di certo lacunosa introduzione storica è adesso più semplice definire le reali cause del massacro delle Foibe e vorrei farlo utilizzando le parole super-partes, inequivocabilmente affidabili e certe, della COMMISSIONE STORICO CULTURALE CONGIUNTA ITALIA-SLOVENIA, del Presidente Emerito della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano e del Presidente della Giunta Esecutiva dell’Unione Italiana (Comunità italiane in Croazia e Slovenia) Maurizio Tremul:

«…già nello scatenarsi della prima ondata di cieca violenza in quelle terre, nell’autunno del 1943, si intrecciarono “giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento” della presenza italiana da quella che era, e cessò di essere, la Venezia Giulia. Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una “pulizia etnica”.»

Giorgio Napolitano

«Tali avvenimenti si verificarono in un clima di resa dei conti per la violenza fascista e di guerra e appaiono in larga misura il frutto di un progetto politico preordinato, in cui confluivano diverse spinte: l’impegno ad eliminare soggetti e strutture ricollegabili (anche al di là delle responsabilità personali) al fascismo, alla dominazione nazista, al collaborazionismo e allo stato italiano, assieme ad un disegno di epurazione preventiva di oppositori reali, potenziali o presunti tali, in funzione dell’avvento del regime comunista, e dell’annessione della Venezia Giulia al nuovo Stato jugoslavo. L’impulso primo della repressione partì da un movimento rivoluzionario che si stava trasformando in regime, convertendo quindi in violenza di Stato l’animosità nazionale e ideologica diffusa nei quadri partigiani.»
Relazione della Commissione Storica Italia-Slovena

«La nostra è la cronaca di una storia negata annunciata: l’identificazione tout court con il nemico secondo la tragica equazione italiano uguale fascista…»

Maurizio Tremul

In parallelo, furono coinvolti negli eccidi anche cittadini sloveni e croati, intendendo il costituendo regime comunista di Tito una realtà che oltre a fare i conti con il fascismo, attuava l’eliminazione di tutti gli oppositori, anche solo potenziali.

E’ di grande aiuto la testimonianza di chi è sopravvissuto a tali massacri, nonostante esista chi, senza la minima evidenza storica o prova inconfutabile, nega o minimizza tali esperienze raccontate, sostenendo che siano strumentalizzazioni, invenzioni, menzogne.
La più affidabile di queste cronache è di certo quella di Giovanni Radetecchio, un convinto e militante antifascista istriano italiano, la cui testimonianza è stata pubblicata dal CNL (Comitato di Liberazione Nazionale, si legga PARTIGIANI) di Istria.
Tuttavia anch’essa, nonostante ciò appaia come un paradosso, verrà negli anni giudicata una dichiarazione non attendibile dai detrattori (sovente della stessa matrice politica) ma sarà confermata storicamente da una moltitudine di commissioni parlamentari, istituti di ricerca storica e scientifica e soprattutto da quell’enorme mole di altre voci che nel tempo avranno il coraggio e la forza di rivelarsi al pubblico, facendo luce sull’oscurità di mezzo secolo di strumentalizzazioni politiche.

Ecco le parole di Radetecchio:

«dopo giorni di dura prigionia, durante i quali fummo spesso selvaggiamente percossi e patimmo la fame, una mattina, prima dell’alba, sentii uno dei nostri aguzzini dire agli altri “facciamo presto, perché si parte subito”. Infatti poco dopo fummo condotti in sei, legati insieme con un unico filo di ferro, oltre a quello che ci teneva avvinte le mani dietro la schiena, in direzione di Arsia. Indossavamo i soli pantaloni e ai piedi avevamo solo le calze. Un chilometro di cammino e ci fermammo ai piedi di una collinetta dove, mediante un filo di ferro, ci fu appeso alle mani legate un masso di almeno 20 k. Fummo sospinti verso l’orlo di una foiba, la cui gola si apriva paurosamente nera. Uno di noi, mezzo istupidito per le sevizie subite, si gettò urlando nel vuoto, di propria iniziativa. Un partigiano allora, in piedi col mitra puntato su di una roccia laterale, c’impose di seguirne l’esempio. Poiché non mi muovevo, mi sparò contro. Ma a questo punto accadde il prodigio: il proiettile anziché ferirmi spezzò il filo di ferro che teneva legata la pietra, cosicché, quando mi gettai nella foiba, il masso era rotolato lontano da me. La cavità aveva una larghezza di circa 10 m. e una profondità di 15 sino la superficie dell’acqua che stagnava sul fondo. Cadendo non toccai fondo e tornato a galla potei nascondermi sotto una roccia. Subito dopo vidi precipitare altri quattro compagni colpiti da raffiche di mitra e percepii le parole “un’altra volta li butteremo di qua, è più comodo”, pronunciate da uno degli assassini. Poco dopo fu gettata nella cavità una bomba che scoppiò sott’acqua schiacciandomi con la pressione dell’aria contro la roccia. Verso sera riuscii ad arrampicarmi per la parete scoscesa e guadagnare la campagna, dove rimasi per quattro giorni e quattro notti consecutive, celato in una buca. Tornato nascostamente al mio paese, per tema di ricadere nelle grinfie dei miei persecutori, fuggii a Pola. E solo allora potei dire di essere veramente salvo.»

La Storia, naturalmente, sta nel mezzo, come del resto la verità, di cui la ricerca è lo strumento più affidabile. Ebbene, se i massacri delle foibe sono stati scientificamente confermati ed è una realtà incontrovertibile che non solo i fascisti furono giustiziati e deportati, è altresì vero e inopinabile che la responsabilità fascista è gravissima ed è il fattore scatenante di questa escalation di odio e di vendetta.
Dagli anni settanta del Novecento vi furono i primi studi storici sopra le parti, neutrali e soprattutto attendibili ed il motore di questa ricerca è certamente da trovarsi nell’Istituto Nazionale Studi Movimento di Liberazione In Italia.
Essi hanno consentito di collocare gli eccidi con precisione tra il 1943 ed il 1946 come “effetto della politica di italianizzazione forzata fascista, con relative aggressioni e con brutale repressione, durante l’invasione della Jugoslavia”.
In quest’ottica, apparve logico considerare le stragi delle Foibe come un fenomeno iniziato come reazione spontanea della popolazione locale ai vergognosi crimini di guerra commessi dai fascisti.
Nondimeno è verità e fatto dimostrato come le Foibe si siano evolute in una delle varie “epurazioni preventive”, quelle deportazioni e quei massacri ad opera dapprima del Movimento di Liberazione Rivoluzionario a guida partigiana e successivamente dall’Esercito della Jugoslavia comunista di Tito, protagonista di una vera e propria guerra di repressione atta non solo alla liberazione, ma anche all’eliminazione fisica degli avversari politici (anche ipotetici) che si trascinò per anni al fine di mantenere lo status quo, mietendo vittime non solo italiane, ma di tutte le etnie presenti in Istria.

E’ relativamente recente l’emergere della memoria; quel coraggio di commemorare stragi scomode, istituendo il GIORNO DEL RICORDO il 10 Febbraio del 2005;
una presa di posizione importante contro le strumentalizzazioni politiche sia di estrema sinistra (minimizzare o negare) sia di estrema destra (usare una strage per avere la propria tragedia su cui fare leva per apparire innocenti).
Una nazione moderna, civile, democratica e liberale che fonda la propria Costituzione sul lavoro, la pace e la cooperazione, che si rifà alla non-violenza, che auspica la felicità dell’uomo e la libertà di un Popolo così come di tutti gli uomini e di tutti i Popoli, NON PUO’ UTILIZZARE UNA STRAGE COME STRUMENTO POLITICO ATTO A GIUSTIFICARE O DIFENDERE ALCUNA IDEOLOGIA. E’ necessario porre un freno istituzionale ma soprattutto etico a chi minimizza o nega la morte o a chi se ne fa scudo, poiché sono pratiche violente, antidemocratiche ed incivili, sono dei mezzucci ancorati ad una storia passata alla quale non vogliamo più fare ritorno: la storia dei totalitarismi e delle dittature, siano esse fasciste o comuniste.
Oggi non si giustificano i massacri dei fascisti e le violenze inaudite del Regno d’Italia durante la scellerata invasione della Jugoslavia; oggi non si giustificano le Foibe come atto di vendetta comprensibile da parte dei partigiani slavi o comunisti.
Perchè la morte e la violenza non sono MAI giustificabili.




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